Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Ad ogni uomo il suo dolore":
Il bene e il male si pagano con questa moneta
Pubblicato in: Epoca, anno VI, fasc. 265, pp. 44-46
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Data: 30 ottobre 1955


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   Il dolore allo stato puro non esiste. Esistono invece innumerevoli dolori misti e compositi, diversi tra loro come sono diverse le nature degli uomini e le forme degli eventi che possono precederli o accompagnarli.
   Un dolore può essere prima di tutto stimolo all'azione, aiuto alla conoscenza, pagamento del peccato o della superiorità, principio della catarsi o, nel suo stadio più divino, materia prima della gioia.
   Il mio vecchio maestro di antropologia, Ettore Regàlia, aveva esposto e difeso in molti saggi lucidi quanto laconici una sua teoria secondo la quale il dolore è l'antecedente necessario e costante di ogni azione umana. Chi si trova in uno stato di calma piacevole e soddisfatta non ha ragione di muoversi. Siccome ogni azione significa ricerca di mutamento è chiaro che solamente coloro che si trovano in uno stato penoso e doloroso sono spinti ad agire per il naturale desiderio di cambiarlo. L'azione e l'agitazione degli uomini si spiegano soltanto con gli assilli angosciosi della fame, dell'amore, del freddo e della paura.
   Questa legge non è così universale come credeva il mio indimenticabile maestro perché esistono azioni che non nascono dal dolore ma è verissima per gli atti più comuni dell'esistenza.
   Il lavoro umano, in tutte le sue forme, non è che il tentativo perpetuamente ripetuto di liberarci da quegli stati dolorosi che sono il bisogno di un pane, di un tetto, di un'arma, di una donna.
   Il dolore, dunque, è ciò che muove le mani degli uomini e le loro intelligenze. Se l'idea di Regàlia è vera il dolore è il rimedio più attivo ed efficace contro il più vile dei peccati umani, che è l'accidia.
   Senza il pungolo del dolore la terra vedrebbe l'umanità ridotta a una dormivegliante assemblea di neghittosi Belacqua.

   Chi è preso dal piacere o inebriato dalla gioia non è spinto a ricercare le cause prossime o lontane di quei dilettosi stati. Giobbe, finché fu ricco e felice, si contentava di ringraziare Dio per i benefici ricevuti, di obbedirlo e adorarlo. Soltanto quando si ritrovò nell'orribile fondo di tutte le miserie gli venne l'affannosa smania di scoprire le ragioni delle sue spaventose sciagure.
   Non soltanto la medicina sorge dal bisogno di far cessare le pene delle infermità ma la stessa morale è nata dal desiderio di evitare le dolorose conseguenze della malvagità umana; la scienza del diritto ebbe origine dalla necessità di rendere meno paurosa e pericolosa la convivenza degli uomini in società. Persino la geometria fu inventata, nell'antico Egitto, per diminuire i furori e i conflitti quando i confini dei campi venivano spostati da vicini frodolenti o prepotenti.
   Senza il sentimento di angoscia che ci invade dinanzi ai misteri del firmamento e dell'universo non esisterebbe l'astronomia né la metafisica.

   Il dolore come conseguenza ed effetto del peccato è uno dei temi più venerandi della letteratura moralistica ed ascetica di ogni popolo e fu sviluppato con tutte le variazioni e le fioriture che comporta lo stile sadico o mieloso dei portavoce della Legge. Il rapporto tra peccato e dolore è confermato ogni giorno dall'esperienza: la maggior parte delle malattie ha difatti, tra le cause prime, la coltivazione intensiva e pertinace di uno dei sette vizi capitali.
   Ma non s'è detto abbastanza che molti profondi dolori provengono proprio dalle nostre più alte virtù. L'uomo nato per l'amore e che vede dappertutto le congiure e le pestilenze dell'odio universale, pubblico privato, non può fare a meno di soffrire. L'uomo veggente e profeta che assiste ogni ora agli errori infiniti della stoltizia umana e ha la visione delle catastrofi future è destinato a patire più di ogni altro uomo.
   Parrà strano, anzi ingiusto e scandaloso che sia punito col dolore tanto l'uomo marcio di colpe quanto l'uomo d'illuminato e delicato animo. Ma chiunque è avvezzo a scandagliare la vita ha dovuto scoprire che una rigida e infallibile contabilità domina la nostra esistenza e che tutto, il bene e il male, deve essere pagato al suo stabilito prezzo, che si versa anticipato o posticipato, secondo i casi, in modo tale che risulti sempre, alla chiusura dei conti, un perfetto pareggio.
   Tutto si paga, dal godimento grezzo del corpo all'esultanza creatrice dello spirito. E si paga col dolore: il dolore, è la moneta di scambio per mettere sempre in pari la bilancia del mondo morale. Le monete non hanno tutte il medesimo peso e lo stesso conio. I piaceri carnali del peccato vengono pagati soprattutto con sofferenze corporali mentre le gioie sublimanti dell'anima sono scontate, di solito, con trafiggenti afflizioni spirituali. Qualcuno potrebbe scorgere una sconcertante ingiustizia in questo dover pagare la superiorità con i tormenti ma in verità il prezzo richiesto per quei doni quasi divini che sono l'amore o l'intuizione profetica o l'ispirazione poetica è, se ben si guarda, irrisorio. E pochi, purtroppo, sono quelli chiamati a quel pagamento perché pochi sono, specialmente ai nostri tempi, coloro che hanno in sé sovrabbondanza di affetti, di entusiasmo, di genio, di fede, di fuoco.

   Ma vi sono anche dei dolori che non dipendono da noi, né dalla nostra animalità né dalla nostra angelicità. La morte di una creatura amata che nessuno è riuscito a salvare; la perdita di vite e di beni quando le cateratte del cielo si aprono troppo a lungo, quando i fiumi traboccano e allagano, quando le viscere della terra sobbalzano e apportano ambascie e angoscie anche agli innocenti. Son questi i dolori che fanno dubitare della giustizia e della bontà divina a coloro che vedono e riflettono soltanto a metà.
   Questi dolori hanno effetti opposti a seconda delle


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anime che da essi vengono percosse: quelle fatte di stoffa rozza si inaspriscono e si inaridiscono, quelle di natura più sublimata e ardente si purificano e si elevano. Il dolore in apparenza maligno e crudele diventa, al contrario, un principio e un mezzo efficace di catarsi. Il tormento è, per gli spiriti privilegiati, lume che rivela, antidoto che disavvelena, fuoco che sublima.
   Un miracolo ancora più incredibile, raro ma stupendo, si avvera in certe anime di santi e di poeti: il dolore, arrivato alla sua estrema pienezza, esplode in gioia, fiorisce in felicità.
   Dinanzi al succedersi e all'incalzare delle sventure e delle torture una delle due: o l'uomo si accascia e si dissolve oppure chiama a raccolta le sue ultime forze e risponde eroicamente alla sfida crudele del destino. La sua disperazione è ricompensata dalla speranza; il suo gemito di orrore si tramuta in voce di vittoria; e, finalmente, la sua «notte oscura» si riempie all'improvviso di splendore, risuona ad un tratto d'inni di giubilo, di corali di tripudio, di peana trionfali.
   Il canto di Daniele nella fossa dei leoni, il canto di Francesco nei giorni dell'agonia finale, il canto di Beethoven nella tristezza della sordità e della solitudine, sono tra í momenti più eccelsi che il genere umano possa ricordare - quando non vuol vergognarsi di se medesimo.


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